Két évig fizettem albérletet… míg rá nem jöttem, hogy a lakás az anyósomé

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Mentre guardava la neve cadere lentamente dietro al vetro della finestra, Anna sentiva dentro di sé una calma strana, quasi irreale. Era quella calma che precede le decisioni definitive. Nessuna rabbia esplosiva, nessuna scenata. Solo la certezza amara di aver vissuto due anni in una menzogna gentile, ben confezionata.

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Due anni di bollette divise, di affitto calcolato con precisione, di rate di cui lei aveva sempre preso il carico maggiore. Due anni in cui si era sentita grata a Szergej per “aver trovato quel bell’appartamento a buon prezzo”. Due anni in cui aveva risparmiato sul trucco, sui vestiti, sulle piccole gioie per sé – perché dovevano mettere da parte, diceva lui. Per il futuro. Il loro futuro.

E invece, ogni suo centesimo era andato nelle mani della suocera. Olga Vjačeslavovna. Sempre gentile, sempre in silenzio, con i suoi sguardi sfuggenti e i tè serviti senza zucchero.

Anna ricordava bene quell’ultima volta che erano andati a casa sua per cena. Olga l’aveva guardata con un’espressione che ora riconosceva come compassione. Forse anche lei sapeva che tutto, prima o poi, sarebbe venuto a galla.

E adesso? Adesso Anna aveva un piano.

Il giorno dopo andò in banca. Chiese informazioni su un mutuo a suo nome. Era impiegata da anni, con un contratto a tempo indeterminato, un discreto risparmio. Le dissero che era possibile. Era realizzabile.

Poi andò da un notaio. Prese appuntamento per separare ufficialmente i beni. Una cosa semplice, ordinaria. Ma per lei, era un atto rivoluzionario.

La sera, quando Szergej tornò a casa e buttò la giacca sul divano come se niente fosse, Anna lo guardò con occhi nuovi. Non c’era odio, né rancore. Solo lucidità.

– Ho visto oggi un appartamento in vendita. Piccolo, ma luminoso. – disse.

Szergej sbuffò.

– Di nuovo con questa storia?

– Sì. Ma non “di nuovo”. È l’ultima volta.

Lui la fissò. E forse, per la prima volta, capì che lei non stava scherzando.

Anna si alzò, prese il suo portatile e uscì dal salotto. Ma prima di farlo, lo guardò un’ultima volta.

– Per due anni ho pagato l’affitto in una casa che non mi apparteneva, credendo di costruire qualcosa insieme. Ora voglio costruire qualcosa per me.

Si chiuse la porta dello studio alle spalle.

E per la prima volta dopo anni, si sentì libera.

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